
Massimiliano Fichera è un baritono dalla voce calda e profonda, ma è anche molto di più: è pianista, docente di musica nella scuola secondaria, insegnante di canto lirico e moderno. È padre e compagno d’arte di suo figlio Stefano, con cui ha condiviso il palco e inciso il brano “Non siamo uguali”, scritto da Luigi Mosello (Music Universe Aps). Diplomato in canto lirico presso il Conservatorio “Vincenzo Bellini” di Catania, Fichera ha calcato i palcoscenici di numerosi teatri in Italia e all’ estero interpretando ruoli del grande repertorio operistico. La sua carriera si muove con naturalezza tra l’opera, la didattica e i progetti musicali condivisi in famiglia. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia, dove le note diventano un ponte tra le generazioni.
Fichera, come riesce a conciliare le diverse anime della sua vita?
«Non è sempre semplice, ma credo che ogni parte della mia vita alimenti l’altra. Serve una grande passione per tutti i ruoli che ricopro. Essere padre mi rende più empatico come insegnante, e la musica è il fil rouge che tiene tutto insieme. L’equilibrio arriva anche dalla consapevolezza che a casa c’è chi mi vuole bene, mi comprende e mi sostiene: questo è fondamentale.»
Ha inciso un brano con suo figlio. Cosa significa per lei condividere la musica in famiglia?
«È una delle esperienze più emozionanti della mia vita. Cantare con mio figlio non è solo un atto artistico, ma un dialogo tra due generazioni. La musica diventa un linguaggio comune che rafforza il nostro legame.»
Quando ha scoperto il talento vocale di suo figlio?
«È successo qualche anno fa, durante un viaggio in auto dalla Sicilia a Torino. Abbiamo iniziato a vocalizzare per gioco ed è stata una doppia sorpresa: lui non sapeva di saper cantare, e nemmeno io me lo aspettavo, anche se in fondo lo speravo fin da quando era piccolo. Da lì ha cominciato a studiare seriamente, ha frequentato la Scuola Civica di Torino e ora si sta preparando per il debutto.»
Com’è nato il brano che avete inciso insieme?
«È nato quasi per gioco, un pomeriggio a casa. Lui canticchiava, io l’ho accompagnato al pianoforte, ed è nata l’idea di registrare un pezzo insieme. Tutto è stato spontaneo, autentico. Naturalmente, il brano esiste grazie anche alla sensibilità di Luigi Mosello.»
Oltre al canto, suona anche il pianoforte. In che modo lo strumento si intreccia con la sua attività di cantante e insegnante?
«Il pianoforte è stato il mio primo strumento: mi ha insegnato l’armonia, il fraseggio, il respiro musicale. Lo utilizzo ancora oggi per preparare brani operistici e durante le lezioni. Mi permette di visualizzare la musica nella sua interezza. È uno strumento insostituibile, anche nell’insegnamento, perché favorisce un dialogo musicale completo tra docente e allievo.»
Che tipo di rapporto cerca di costruire con i suoi studenti, a scuola e nel canto?
«Cerco sempre di creare un clima di fiducia. L’arte ha bisogno di libertà e sicurezza per sbocciare. Nella scuola media cerco di far capire ai ragazzi che la musica appartiene a tutti, non è un linguaggio per pochi. Con gli allievi di canto, invece, lavoriamo molto anche sull’espressione personale: la voce è uno specchio dell’anima.»
Secondo lei, cosa manca oggi nell’educazione musicale scolastica?
«Manca tempo, mancano risorse, ma soprattutto manca una visione a lungo termine. Nelle scuole medie la musica è spesso ridotta a nozioni teoriche ed è vista come materia secondaria. Dovrebbe essere valorizzata l’esperienza diretta: suonare, cantare, ascoltare insieme. Solo così la musica può diventare viva e significativa.»
C’è un brano o un’esibizione che considera particolarmente significativa nel suo percorso artistico?
«Ce ne sono diversi, ma il Barbiere di Siviglia e Nabucco hanno un posto speciale. Ricordo con particolare emozione Nabucco: anni fa, sognai che mia madre sarebbe mancata proprio durante quella performance. E incredibilmente, sette anni fa, il 12 marzo, mia madre è venuta a mancare proprio mentre mi preparavo per entrare in scena con Nabucco. Ogni volta che ci penso, mi vengono i brividi.»
Ha un sogno artistico che non ha ancora realizzato?
«Vorrei mettere in scena il Don Giovanni coinvolgendo i miei studenti, facendoli debuttare. Ma il sogno più grande riguarda il futuro: diventare impresario musicale, per valorizzare giovani talenti e dare spazio a tanti artisti che spesso restano invisibili.»
Con suo figlio (Stefano Fichera ndr) ha altri progetti in cantiere?
«Prima di tutto voglio proteggerlo: essere “figli d’arte” è difficile, il paragone è immediato e il giudizio arriva in fretta. È giusto che segua il suo percorso in autonomia.
Però sì, mi piacerebbe realizzare un album che racconti il dialogo tra padre e figlio, non solo con la musica ma anche con testi, piccoli racconti. Un progetto che unisca arte e vita, come piace a me. E poi… condividiamo anche la passione per la cucina: forse i un giorno canteremo e cucineremo insieme, magari anche in televisione!»