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"Ecco il piano per tagliare le tasse"

Il governo risponde all'appello del "Giornale": piano per tagliare l'Irpef

"Ecco il piano per tagliare le tasse"
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Non è ancora la svolta, è una promessa. E un impegno: dare respiro al ceto medio che boccheggia sull'orlo del grande precipizio. È il viceministro dell'economia Maurizio Leo a tratteggiare una possibile exit strategy dalle sabbie mobili in cui è sprofondata la borghesia, insomma i due terzi, a spanne, del nostro Paese. Contrazione dei redditi, un fisco vorace, l'insicurezza come pavimento di vite che vent'anni cullavano upgrade e sogni di grandeur.

I sogni forse sono morti, come ha certificato il Censis nel suo ultimo rapporto, ma ora il governo prova a rianimarli. «Il sistema ideale è con due aliquote - spiega da Trento Leo - nella realtà quello che si può fare è lavorare per una fascia del ceto medio. Abbiamo fatto un intervento sui medio- bassi, l'intenzione è lavorare sull'aliquota del 35 per cento, portandola al 33 per cento».

Due punti in meno, perché questo si può fare, soprattutto nella terra di mezzo che in realtà scende verso il basso. Le risorse a disposizione sono quelle che sono, i conti, sotto controllo della Ue, devono seguire lo spartito condiviso con Bruxelles, i parametri rischiano di essere la tomba delle buone intenzioni. Ma qualcosa si muove. Del resto, l'esecutivo Meloni sa benissimo che verrà giudicato su quel riuscirà a realizzare su questo fronte, dove anche guadagnare un centimetro di spazio fiscale è operazione complicata. «C'è la necessità di abbassare le aliquote Irpef per il ceto medio - ripete Leo - perché coloro che hanno un reddito fra i 28 e i 50-60 mila euro si stanno impoverendo».

Ecco di cosa stiamo parlando, è un range medio che tale non è più, e anzi slitta nell'area sempre più vasta del disagio e di quelle che con termine sociologico si chiamano le nuove povertà. Risuona l'allarme lanciato dal Giornale venerdì scorso: il ceto medio affonda. E queste cifre confermano che almeno un grande spicchio è accampato sui bordi dell'indigenza. E lotta per non sprofondare. Certo, come in tutte le saghe borghesi, dopo la stagione dell'ascesa, quella celebrata dalla giostra degli scoppiettanti caroselli degli anni Sessanta e Settanta, arriva quella del declino che va a braccetto con la rassegnazione, il nemico numero uno di chi sbucava nella terra promessa da secoli di miseria.

«Noi - ripete da Città del Messico Antonio Tajani - vogliamo ridurre l'Irpef dal 35 al 33 per cento, per dare un segnale al ceto medio che deve e vuole essere tutelato da questo governo, da questa maggioranza. Noi siamo i veri difensori del ceto medio».

Slogan ma anche un graffio per lasciare un segno. Giorgia Meloni ha finora raschiato le poche risorse indirizzandole in direzione degli ultimi, ma la riforma fiscale è una delle grandi scommesse dell'esecutivo. C'era una volta la flat tax e l'idea di rivoluzionare il rapporto fra lo Stato e il contribuente. Poi è andata come è andata, Meloni ha puntato il dito contro il superbonus che ha scassato tutte le previsioni. La conferma, in effetti, arriva dalla Cgia di Mestre, che rivela: «Sebbene da quest'anno l'incentivo sia sceso al 65 per cento , nei primi tre mesi del 2025 gli oneri a carico dello Stato sono aumentati di altri 1,8 miliardi di euro». È una «tassa» su debito pubblico del Paese. Ma qualcosa si deve fare e ora si traccia la strada. Due punti in meno per una platea che vuole tornare a marciare verso il benessere.

Certo, il ceto medio è in crisi un po' ovunque, da noi ancora di più.

I troppi tentacoli e lacci del potere legislativo, la produttività ansimante, i salari che sono una coperta sempre più corta e poi l'inverno demografico. C'è molto da fare, qualcosa è in cantiere. Servirebbe una campagna contro la burocrazia che uccide l'iniziativa privata. L'allarme lanciato dal Giornale non resterà inascoltato. Speriamo.

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