
Mai forse come adesso siamo stati ossessionati dall'identità: una parola enorme, una nozione dai significati sempre più ampi e stratificati. Parlo per me, mai come negli ultimi cinque o sei anni ho sentito ripetere più o meno ossessivamente la frase: «Io mi identifico come», riempita poi nei modi più svariati, seguita da specificazioni identitarie a seconda dell'inquadramento sessuale, spaziale, religioso e via dicendo del parlante. Anche là dove un riferimento all'identità c'entrava pochissimo, anche quando l'identità nulla aveva a che fare col discorso in via di svolgimento, eccola essere tirata fuori, ecco l'identità: con l'unico e tristissimo effetto di banalizzarla, di sgualcirla e sottrarle quel merito immenso che a ragione le spetta.
La questione si è riproposta qualche giorno fa, quando mi sono imbattuta in una ragazza americana, una neo maggiorenne di nome Meow Dalyn la quale afferma di non essere interessata all'identità umana bensì a quella canina. Sostanzialmente questa giovanissima, già virale sui social, crede o finge di essere un cane: dorme nella cuccia, mangia croccantini, va in giro con orecchie e code finte, si lascia mettere il guinzaglio dai suoi addestratori e da questi viene portata a spasso, naturalmente a favore di telecamera, tra migliaia di contenuti audiovideo postati soprattutto tra TikTok e Instagram, cui sono da aggiungere le numerose ore di dirette tenute su Twitch.
Meow quindi, che è anche un'influencer e una streamer, e che da questa sua esposizione guadagna abbondantemente, trascorre il tempo a scodinzolare, a scuotere le braccia come fossero zampette, a fare i suoi bisogni all'aperto; mentre dall'altra parte un marea di utenti, per curiosità, incredulità e noia anche, e mille altre ragioni, guardano colei che afferma di essere passata in breve da un'identità all'altra, in questo caso perfino da una specie all'altra, e credendoci forse: come se fosse un gioco, come se niente, neppure il proprio sé, avesse più complessità e valore.