
Il Fondo Monetario Internazionale promuove l'Italia per il dimezzamento del disavanzo, ottenuto grazie al miglioramento della compliance fiscale e alla tenuta del mercato del lavoro, ma avverte: la traiettoria virtuosa va mantenuta e accompagnata da riforme incisive per ridurre il debito e sostenere la crescita.
Il disavanzo nominale si è effettivamente ridotto, il saldo primario è tornato positivo e le autorità prevedono un ulteriore aggiustamento, ma per l'istituzione guidata da Kristalina Georgieva non basta. L'obiettivo indicato è un avanzo primario pari al 3% del Pil entro il 2027, traguardo che, secondo gli esperti di Washington, richiederà sforzi aggiuntivi rispetto ai piani attuali, ma che, se centrato, renderebbe meno pesanti gli interventi negli anni successivi. Accanto a una solida disciplina fiscale, il Fondo torna a proporre le sue ricette classiche: razionalizzazione della spesa pubblica, ampliamento della base imponibile, revisione dei regimi agevolati e aggiornamento degli estimi catastali. In sostanza, un'agenda che propone uno spostamento del carico fiscale dal lavoro ai patrimoni, con l'obiettivo dichiarato di maggiore equità ed efficienza, ma che rischia di produrre effetti distorsivi sulla crescita e su mercati sensibili come quello immobiliare. L'ampliamento della base imponibile, del resto, è già al centro delle politiche anti-evasione del governo. Quanto alla flat tax per gli autonomi, pur creando una soglia psicologica a 85mila euro, ha sostenuto molte attività produttive e professioni.
Non mancano gli appunti nemmeno sul versante della produttività e del mercato del lavoro: il Fondo evidenzia il divario tra Nord e Sud, la persistente bassa partecipazione femminile e le debolezze strutturali di un sistema che fatica a creare valore. È proprio questo il nodo centrale, che viene rafforzato da un altro documento uscito in contemporanea: l'ultima monografia della rivista scientifica Sinappsi, curata dall'Inapp e dedicata al cambiamento demografico. I dati mettono a nudo una realtà preoccupante: l'Italia è stato il primo Paese al mondo, già negli anni '90, a vedere gli over 65 superare gli under 15, ed è tra quelli che rischiano di più uno squilibrio strutturale tra pensionati e lavoratori attivi. Secondo gli scenari contenuti nella pubblicazione, curata da Gian Carlo Blangiardo e presentata al Cnel, entro il 2050 potremmo arrivare a un rapporto di 1 a 1 tra lavoratori e pensionati, con gravi conseguenze sulla sostenibilità del sistema. Il tasso di dipendenza degli anziani, ovvero il rapporto tra over 65 e popolazione in età lavorativa, è già oggi superiore al 40% e salirà al 66% nel 2027. Ancora più netto è il dato se si guarda direttamente al numero di persone in pensione rispetto a chi lavora: il carico attuale in Italia è pari al 60%, il peggiore d'Europa, con un ulteriore peggioramento previsto fino all'80% nei prossimi anni, al pari di Grecia e Portogallo. Il problema non è solo numerico ma anche qualitativo. Come ha spiegato il presidente dell'Inapp, Natale Forlani, l'invecchiamento demografico si è già trasferito nella composizione del mercato del lavoro: quasi il 60% dei lavoratori ha più di 40 anni e da tre anni i lavoratori over 50 superano quelli tra i 35 e i 49. Entro il 2040 si stima una perdita di circa 4 milioni di persone in età lavorativa, un'emorragia che richiede risposte urgenti. Né basterebbe un rimbalzo della natalità: l'effetto di decenni di denatalità si riflette già oggi nel calo strutturale del numero di donne in età fertile, che rende difficile invertire la tendenza anche nel lungo periodo.
Da qui la proposta dell'Inapp di costruire una silver economy capace di valorizzare le risorse per
garantire benessere e dignità agli anziani. Il monito che arriva da Fmi e Inapp converge su un punto: senza un ripensamento complessivo delle politiche economiche, sociali e fiscali, la resilienza dell'Italia resterà fragile.